Dalle capanne, in argilla e canne, dell’età del Bronzo Antico, ai reperti delle ville romane del territorio. La sezione archeologica racconta e testimonia l’evoluzione degli insediamenti nati ai margini delle vie fluviali. Dal fiume e lungo le sue sponde sono emerse lame in selce, manufatti in osso, oggetti di uso quotidiano, ecc…

Archeologia

Gli uomini delle acque

(L’età del Bronzo)

Lungo il corso dell’Oglio, l’Età del Bronzo è testimoniata da resti di villaggi fluviali della cosiddetta cultura Palafitticolo-terramaricola, che si sviluppò durante tutto il II millennio a.C.

L’ambiente

La “tavola cronologica dei climi” ci avverte che l’Età del Bronzo, nella Pianura Padana, si svolse durante una fase climatica sub-boreale: “caldo (in lieve diminuzione) con periodi di tempo secchi”.

In questo clima, che dovette essere piuttosto stabile, si inseriscono bene le specie animali selvatiche che conosciamo attraverso gli avanzi dei pasti consumati dagli abitanti dei villaggi: lepre, topo, riccio, faina, castoro, gatto, volpe, tasso, lontra, orso, cinghiale, capriolo, cervo, daino, tartaruga, pesci, molluschi, anitra selvatica, trampoliere, corvo e gufo.

Le specie vegetali, invece, erano: il nocciolo, il pioppo, l’olmo, il faggio, il castagno, la quercia, la vite e il mandorlo.

Tutte piante che vivevano assieme ancora nei secoli scorsi.

Il paesaggio, dunque, doveva essere vario: il corso del fiume, anche se non usciva sostanzialmente dal vasto palealveo, modellò un ambiente molto diverso dall’attuale e la fauna selvatica ci lascia intravedere l’esistenza di boschi, macchie, radure, paludi e acquitrini.

L’alto numero e la vita piuttosto lunga degli abitanti,,gli animali domestici, nonché la presenza di piante coltivate, presuppongono la presenza di appezzamenti lavorati e di pascoli: territori riscattati al bosco dal lavoro dell’uomo che ha creato spianate, dossi, terrazzi e radure sicure e stabili, e che tuttavia si trovavano all’interno di un vasto ambiente selvaggio, dominato da acque correnti e stagnanti.

Gli insediamenti

Da quanto emerso dagli scavi degli ultimi decenni, i villaggi erano situati in radure su terrazzamenti fluviali, ovvero all’interno del palealveo, sopra isolotti o sopra impianti lignei sopraelevati (palafitte).

Le capanne, sia di forma circolare sia rettangolare, erano fatte di legno con intonacatura d’argilla e ricoperte di fasci di fibre vegetali impermeabili. Erano edifici molto simili ai cosiddetti “casoni” dei pescatori della laguna veneta e del delta del Po.

Agricoltura e allevamento

Le pratiche agricole sono documentate grazie al rinvenimento di semi di cereali e di attrezzi legati alla loro produzione e lavorazione: macine di arenaria, falcetti, zappette.

La disponibilità dell’ascia metallica (che permise all’uomo il dominio sul bosco) favorì il passaggio a forme di coltivazione estensiva.

In quest’epoca ebbe grande impulso anche l’allevamento.

Negli avanzi di pasto sono state trovate molte specie domestiche: bue, pecora, capra e maiale, che prevalgono nettamente sui resti delle specie selvatiche.

Negli strati archeologici sono molto frequenti i resti di cane, il che sta a indicare l’instaurazione della pastorizia sedentaria, con la conseguente lavorazione dei latticini.

Pur tuttavia, le genti dell’Età del Bronzo integrano abbondantemente le nuove attività economiche con la raccolta di erbe e frutti selvatici e con la caccia e la pesca.

La ceramica

La ceramica, assieme agli strumenti in bronzo, rappresenta uno dei capisaldi per lo studio della cronologia dell’Età del Bronzo e dei rapporti tra le varie culture.

La qualità dei reperti ceramici padani è modesta, perché i vasai dell’epoca seguivano criteri di praticità e di puro utilitarismo, senza cercare la qualità estetica.

Si trovano, infatti, molti oggetti adibiti a usi non strettamente connessi alla cottura dei cibi.

Si incontrano, oltre alle solite forme, ceramiche legate all’attrezzatura da cucina (piatti, tazze, tegami, pentole, bicchieri e fornelli), anche recipienti da dispensa (orci e grandi contenitori per derrate solide e liquide), vasellame per la lavorazione del latte, strumenti per la metallurgia (vasi da colata, ugelli di mantice, crogioli), pesi per la tessitura, fusaiole per la filatura, vasetti miniaturizzati per bambini (o quali simboliche offerte alla divinità).

Il corno e l’osso

L’artigianato del corno attingeva materia prima da una fonte praticamente inesauribile: come è noto, il cervo perde ogni primavera le corna, che subito riprendono a crescere.

Grazie alla lavorazione del corno si producevano pettini, spilloni, punte di freccia, pugnali, martelli, spatole e zappette. In virtù dell’artigianato dell’osso, si fabbricavano sostanzialmente gli stessi oggetti realizzati in corno, con la differenza che la materia prima era ricavata dalle diafisi ossee di arti di pecora e di capra, da cui si ricavavano soprattutto i punteruoli e gli aghi per cucire.

La pietra e la selce

La selce fa le sue ultime apparizioni in quest’epoca, in quanto l’uso della pietra sarà sostituito via via dalle produzioni di utensili in bronzo. La tecnica è molto buona e le punte di freccia, le lamette, gli elementi di falcetto sono eseguiti con molta cura; viceversa le lame di asce in pietra sono di scarsa qualità e sono sempre più sostituite da quelle di bronzo.

Il bronzo

Se ci atteniamo agli “stampi” trovati nei siti padani, la produzione è rappresentata da armi (punte di lancia, pugnali, frecce, spade), utensili di carpenteria (asce) e oggetti di uso personale (spilloni, pettini, rasoi).

L’esistenza della metallurgia in loco è documentata, oltre che dagli oggetti metallici, anche dai crogioli e dagli ugelli di mantice.

Il commercio

Con l’inizio dell’Età del Bronzo i traffici commerciali subiscono un mutamento radicale. Selci, ossidiane e “pietre verdi” non servono quasi più, nuove strade si aprono alla circolazione dei metalli.

La tipologia di alcuni oggetti bronzei e l’ubicazione dei depositi, ci indicano le nuove correnti di traffico. L’area padana, che è pur sede di un’industria metallurgica autonoma, ha stretti rapporti con le aree di produzione dell’Europa Centrale e Orientale.

Un altro importante elemento che ci consente di intravedere l’ampiezza dei traffici terramaricoli è la presenza di ambra. Questa preziosa resina fossile proveniente dal Baltico veniva trasportata già lavorata verso i mercati mediterranei della Grecia, di Creta e dell’Egitto. La direttrice principale della via dell’ambra seguiva il corso dell’Elba, della Moldava e dell’Inn; passava le Alpi, raggiungeva l’area benacense, la bassa Lombardia e quindi il Po, l’Adriatico e di qui il Mediterraneo.

(L’età Celtica)

Durante la prima Età del Ferro l’area a nord delle Alpi era abitata da popoli di etnia celtica, alcuni dei quali (Insubri, Cenomani, Boi, Senoni) penetrarono, all’inizio del IV secolo a.C., nell’Italia Settentrionale.

Le notizie su queste genti, oltre che attraverso le fonti storiche (Polibio, Livio), ci provengono dalle necropoli. Le città celtiche più importanti erano Milano e Brescia.

Nel territorio cannetese la presenza celtica è documentata dalla necropoli di Carzaghetto (350-200 a.C.), dove sono venute alla luce cinquantasei tombe. Di queste, sette erano di guerrieri, altre appartenevano a donne di ceto elevato con ricchi corredi, mentre le rimanenti (con corredi poveri) dovevano appartenere a persone di basso rango.

Col I secolo a.C. venne messo in atto, da Roma, un processo di assimilazione delle genti che abitavano il nord Italia. Detto processo ebbe il suo culmine nel 49 a.C., quando Cesare, attraverso la Lex Iulia Municipalis, concesse la cittadinanza romana ai Galli transpadani e, nel 42 a.C., quando fu soppressa dal governo romano la provincia della Gallia Cisalpina.

(L’età Romana)

Dopo l’estensione della cittadinanza romana alle popolazioni abitanti la Pianura Padana a nord del Po, l’altra operazione che contribuì alla romanizzazione del territorio fu la centuriazione.

La suddivisione agraria, infatti, favorì in particolare la diffusione capillare di insediamenti rustici, i cui resti punteggiano ancora le nostre campagne (come nel caso della villa di Bizzolano).

In questi antichi siti abitativi si rinvengono i resti di oggetti legati alla vita quotidiana come frammenti di laterizi, ceramiche, vetri, monete e manufatti metallici.

Reperti che, nel loro insieme, ci consentono di valutare il periodo d’uso dell’edificio e il tenore di vita dei suoi abitanti. Una segnalazione particolare meritano due anfore onerarie ben conservate e appartenenti alla forma 6 della tipologia Dressel.

Tali anfore costituiscono il tipo più diffuso nel nord Italia e furono probabilmente prodotte in Pianura Padana.

Quanto al contenuto, esse avrebbero dovuto trasportare olio istriano, vino comune padano, frutta, garum o sale provenienti dalle saline adriatiche.

Una menzione merita, sicuramente, la raccolta numismatica dell’Ecomuseo, che è costituita da una cinquantina di pezzi, in larga misura denari d’argento che vanno dalla fine del III secolo a.C. alla seconda metà del III secolo d.C.

Tra questi esemplari si conserva un curiosissimo denario “ibrido”, frutto di un errore di coniazione, che reca sul recto il busto di Iulia Domna e, sul verso, un’immagine pertinente a una emissione di Geta, che raffigura alcuni strumenti sacerdotali.

L’identificazione di questa moneta “ibrida”, battuta nella zecca di Roma durante l’estate del 198 d.C., ha consentito di posticipare di due anni (dal 196 al 198) la datazione ufficiale (secondo i cataloghi del British Museum) della prima emissione monetaria di Giulia Domna.